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Tradurre o non tradurre le parole straniere

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2023-12-01
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Trifone, M. (2023). Tradurre o non tradurre le parole straniere. Italianistica Debreceniensis, 29, 8-37. https://doi.org/10.34102/itde/2023/13577
Abstract

Nel primo Novecento Gabriele D’Annunzio propone con successo tramezzino al posto dell’inglese sandwich. Altrettanta fortuna hanno alcune proposte formulate da Bruno Migliorini negli anni Trenta del secolo scorso: autista e regista per il francese chauffeur e régisseur. Non riescono invece ad attecchire le originali coniazioni di Arrigo Castellani nel 1987: fubbia per smog, guardabimbi per baby-sitter, intredima per weekend, velopattino per windsurf, vendistica per marketing. Agli inizi del Duemila il volume Italiano – Inglese 1 a 1 di Giovanardi, Gualdo e Coco riapre il dibattito tra gli studiosi. Nel 2015 la petizione “Dillo in italiano”, lanciata da Annamaria Testa, ottiene un successo enorme e dimostra l’insofferenza di una larga parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’afflusso massiccio di anglicismi. In seguito alla petizione l’Accademia della Crusca costituisce il Gruppo Incipit, un insieme di esperti incaricati di monitorare l’ingresso di nuovi anglicismi e suggerire possibili alternative italiane. Nel 2017 il dizionario Nuovo Devoto-Oli inserisce nel proprio lemmario la rubrica Per dirlo in italiano, contenente oltre 200 schede, che tracciano una breve storia di altrettante parole o locuzioni inglesi penetrate in italiano, ne spiegano il significato l’uso e suggeriscono un possibile equivalente italiano. Il Nuovo Devoto-Oli accoglie con larghezza gli anglicismi più comuni, con l’intento di rendere un servizio utile a quanti non ne conoscano il significato preciso; ma al tempo stesso non ha alcuna riluttanza a proporre un’alternativa italiana, nella profonda convinzione che una simile impostazione sia di aiuto al lettore e rechi un contributo positivo alla stessa lingua italiana.

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